![]() Quei nervi, quelle fasce muscolari che sembrano disperatamente inadeguate, quegli occhi neri e spiritati mi riempiono in cervello, no lui no, lui non può morire, davvero. E inizio a mettere sulla mia pagina di Facebook foto in bianco e nero rubate allo storico e fotografo Gustavo Pallicca. Sto male davvero, come non mai per una morte in condivisione mondiale. Dire che Ho iniziato per merito suo sarebbe una forzatura, ma era già il simbolo dello sport che avevo scelto, la rivista Atletica lo metteva spesso in copertina. Pietro Paolo Mennea mi obbliga a voltarmi indietro, a rivedermi bambino magro nel 1976 su una pista in terra rossa con le corsie tracciate col gesso e incerte. Ma poi succede che muore Pietro Mennea, e anch’io mi ritrovo svuotato di qualcosa, nudo, improvvisamente invecchiato senza essere cresciuto. Un po’ cinico, con pretese di razionalità, spirito illuminista. Mi sentivo alla finestra pure io, solidale con una monarca, incredibile, imbarazzato da un’umanità nella quale mi non riconoscevo. Cosa sapevano davvero di Lady Diana costoro? Gli adulti giù di sotto avevano forse ancora bisogno di fiabe, orchi, draghi e principesse? Cos’è quella intimità artificiale se non una forma di allucinazione percettiva collettiva? Le persone che hanno posto un mazzo di fiori o una bambola per ricordare una persona di cui non avevano ricordi diretti, tattili, torneranno a casa migliorate nella vita di tutti i giorni? Improbabile. Una favolosa Helen Mirren,Ĭhe interpreta la Regina Elisabetta, assiste quasi incredula dalla finestra all’infinito pellegrinaggio di migliaia di cittadini venuti in lacrime a rendere omaggio a una persona che nessuno di loro aveva mai conosciuto direttamente. Alla morte di Lady D lo spettatore è chiamato a una vertigine di senso, un capovolgimento del punto di vista. Per quasi tutto il film lo spettatore è chiamato ad assistere e a biasimare una monarchia che pervicacemente resiste agli attacchi dei secoli, con le sue regole formali che a tratti appaiono rigide fino all’ottusità, in qualche modo assurde. Se vi capita di vedere “The Queen”, un film inglese del 2007 di Stephen Frears che fu candidato a sei premi Oscar, forse capirete a cosa mi riferisco. Ma poi digeriamo tutto, in attesa di un nuovo morto eccellente. Diventiamo troppo emotivi e superficiali. Forse capiamo sempre meno proprio perché tutto si annulla e non sedimenta, le news si divorano, non abbiamo il tempo e la voglia di approfondire. Sappiamo tutto ma non è detto che capiamo tutto. Il sistema dell’informazione totale ci gonfia di notizie e curiosità, ci fa sapere tutto. Ma credo che pochissimi di quelli che l’hanno pianta su Facebook saprebbero spiegare perché vinse un premio Nobel. Grande rispetto per Rita Levi Montalcini, la ricordo con simpatia quando si recava a votare la fiducia al Senato anche in condizioni fisiche difficili. Le frasi tipo “Adesso un altro Angelo ci guarda da lassù” mi mettono i brividi. Non mi piace la necrofilia su Facebook, la febbre morbosa che si scatena alla morte di un personaggio noto, la gara di velocità per linkare per primi la notizia che poi si diffonde in modo virale in rete.
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